Reversibilità in caso di divorzio? Un dettaglio può essere decisivo

Separazione e divorzio non tolgono il diritto alla reversibilità. La giurisprudenza indica limiti e possibilità della normativa in materia.

La pensione di reversibilità anche ai coniugi separati o divorziati è una possibilità concessa a norma di legge, con la disciplina che regola l’erogazione dei trattamenti previdenziali tenendo conto del concetto di solidarietà familiare.

Reversibilità divorzio
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È chiaro che, per mantenere il proprio diritto inalterato, il contribuente in questione dovrà essere in possesso di determinati requisiti, utili a mantenere inalterato lo status che, per estensione della normativa, dà diritto a un trattamento che la separazione in teoria cancellerebbe. Determinare quali siano state le condizioni della separazione o del divorzio sarà il primo passo. Nonostante siano, di fatto, si tratti degli atti funzionali allo scioglimento dei vincoli e degli obblighi tra i coniugi (con rinuncia, per estensione, a diritti e doveri dello stato coniugale), né la separazione né il divorzio eliminano del tutto il cosiddetto “vincolo solidale” che viene stipulato al momento dell’unione. E che, all’atto della separazione, porta il giudice a disporre il mantenimento per la parte in condizioni economiche meno stabili. In questo senso, va letta anche l’erogazione della pensione di reversibilità.

La normativa prevede che il 60% della pensione percepita in vita da un contribuente passi ai suoi parenti più prossimi, con decorrenza dal mese successivo a quello del decesso. Nella fattispecie, e al netto delle variabili da prendere in considerazione, vige la presunzione di uno stato di bisogno nei superstiti creata dal decesso del titolare, in questo caso, dell’assegno pensionistico. Tecnicamente si fa riferimento ai familiari ancora soggetti a vincoli di parentela o coniugali, anche se negli anni i vari ritocchi normativi hanno concesso il beneficio anche al coniuge separato o divorziato. Con la sentenza n. 16093 del 2012, la Corte di Cassazione ha stabilito che il principio solidaristico subentri al momento del decesso dell’ex coniuge qualora questi, in vita, provvedesse al mantenimento economico dell’altro.

Pensione di reversibilità agli ex coniugi: i requisiti indispensabili

In sostanza, la reversibilità andrà a sostituire i benefici concessi all’ex coniuge in fatto di mantenimento. I quali, in effetti, decadrebbero al momento del decesso dell’erogatore. Tuttavia, questo evidenzia il primo dei requisiti essenziali alla titolarità della pensione di reversibilità, ossia il carico fiscale. Nel quadro del trattamento ordinario, infatti, è necessario che il beneficiario, coniuge o figlio, figurasse fiscalmente a carico del parente deceduto. Allo stesso modo, il coniuge separato ha diritto alla reversibilità in presenza di uno stato di bisogno conclamato dal mantenimento percepito. In questo caso, non farà fede l’attribuzione dell’addebito di separazione o meno.

L’equiparazione del separato

È ancora una volta la Cassazione a determinare, con l’ordinanza n. 9649/2015, la disciplina normativa in materia. Nello specifico, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 1987, i giudici hanno stabilito che il coniuge separato è equiparabile “sotto ogni profilo” al coniuge superstite. In questo senso, però, farà fede l’art. 22 della legge 903/1965, che non richiede il requisito della vivenza a carico ma “unicamente l’esistenza del rapporto coniugale con il defunto”. La tutela di tipo previdenziale è quindi di natura preventiva rispetto a un potenziale stato di bisogno.

Il caso di divorzio

La pensione di reversibilità è concessa anche al coniuge divorziato, ai sensi dell’art. 9 della legge 898/1970. In questo caso subentra tuttavia, al secondo e terzo comma della legge sul divorzio, il limite dell’esercizio del diritto alla titolarità dell’assegno divorzile. Il quale dovrà essere riconosciuto con decorrenza anteriore alla morte del soggetto titolare di pensione. Qualora il giudice avesse disposto l’assegno divorzile in misura simbolica, non sorgerà il diritto alla reversibilità. Il presupposto, dunque, resta l’attribuzione del trattamento come continuazione del sostegno economico prestato in vita dall’ex coniuge. La sentenza n. 22434/2018 della Cassazione, inoltre, precisa che ai fini del riconoscimento della reversibilità, la titolarità dell’assegno deve essere indicata come attuale e concretamente fruibile.


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