Dimissioni e Naspi: la nuova circolare Inps chiarisce quando è possibile ottenere l’assegno mensile

Non mancano i lavoratori che danno volontariamente le dimissioni per crisi d’impresa e scappare altrove ma che poi, dopo l’effettivo termine del rapporto di lavoro, si chiedono se gli spetta la Naspi – indennità di disoccupazione. Vediamo come stanno le cose.

L’indennità di disoccupazione o Naspi vale a favore del lavoratore subordinato che perde senza sua volontà il lavoro.

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Nella generalità dei casi non è dunque riconosciuta in ipotesi sia lo stesso lavoratore a rassegnare le dimissioni volontarie. E questo perché viene a mancare appunto il requisito della non intenzionalità della disoccupazione.

Se al lavoratore è preclusa la possibilità di fare domanda per ottenere la Naspi, quanto abbiamo appena ricordato non vieta di soffermarsi su alcuni casi particolari che potrebbero verificarsi. Pensiamo ad esempio alla situazione della crisi di impresa: che succede in questi casi al lavoratore che si dimette perché si rende conto che il suo luogo di lavoro è destinato a chiudere nel giro di breve tempo? Si tratta di quei casi in cui il lavoratore ‘fugge’ perché magari intende rivolgere la propria attenzione altrove e perché è consapevole che di lì a poco l’attività aziendale cesserà. Spetta però la Naspi o indennità di disoccupazione anche in questo specifico caso? Vediamolo insieme.

Indennità di disoccupazione o Naspi: la situazione della crisi di impresa e il contesto di riferimento

Quando un’impresa è ufficialmente in stato di crisi? Ebbene lo è laddove non sia più in grado di sostenere il peso delle perdite, che possono condurla al collasso economico nel giro di poco tempo. Insomma non può più far fronte all’onere per il tramite delle risorse proprie e di quelle che gli azionisti o i creditori sono eventualmente disposti a mettere in gioco ed investire.

Sopra abbiamo detto che quello per crisi aziendale è un caso di dimissioni volontarie, in quanto tali considerabili al di fuori della disciplina di tutela di cui all’indennità di disoccupazione. Ma è davvero così? Attenzione, perché se è vero che ti tratta di dimissioni volontarie, è altrettanto vero che potrebbero essere lette come forzose o comunque non del tutto libere e intenzionali, perché appunto dipendenti dalla crisi economica grave e/o irreversibile nella quale si trova l’azienda con cui si è firmato a suo tempo il contratto di lavoro.

Chiaramente un lavoratore potrebbe scegliere di ‘abbandonare la nave’ prima che questa affondi del tutto, ma non potrà che porsi anche una serie di quesiti successivi, tra cui quello dell’eventuale diritto alla Naspi oltre che quello legato alle modalità con cui trovare quanto prima una nuova occupazione.

La circolare Inps che chiarisce i rapporti tra Naspi e dimissioni volontarie per crisi di impresa

Al fine di spiegare una volta per tutte qual è risposta da dare circa una eventuale compatibilità tra questo specifico caso di dimissioni volontarie per crisi di impresa e la percezione della Naspi o indennità di disoccupazione, è molto utile una recente circolare dell’istituto di previdenza, risalente a questo febbraio. Si tratta della circolare n. 21 del 10 febbraio scorso, la quale effettivamente riconosce il diritto a incassare detta indennità a favore di chi perde l’occupazione per una crisi o una situazione di fallimento dell’azienda in cui si trovava sotto contratto.

In buona sostanza Inps non fa differenza: si tratta pur sempre di cessazione del rapporto di lavoro tutelata, sia che avvenga per recesso unilaterale del datore di lavoro sia che si compia per dimissioni volontarie del lavoratore subordinato. Detta cessazione viene cioè sempre considerata una perdita involontaria dell’occupazione, integrando così il requisito fondamentale per poter fare domanda di Naspi e ottenere l’indennità di disoccupazione.

Quando fare domanda di Naspi?

La legge dispone che la domanda di Naspi o indennità di disoccupazione deve essere fatta nel termine di decadenza di 68 giorni a partire dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Nel caso in oggetto, invece, Inps indica che al fine di permettere al lavoratore, che si dimette nel periodo di sospensione, di poter presentare domanda di Naspi, si precisa che il termine di 68 giorni – per legge previsto a pena di decadenza per la presentazione della richiesta di indennità di disoccupazione – decorre dal giorno in cui il lavoratore rassegna le proprie dimissioni e non dalla data della cessazione del rapporto di lavoro.

Non solo. Lo stesso istituto di previdenza ha chiarito nella circolare che, per tutti gli eventi avutisi tra il 15 luglio dello scorso anno – ovvero il giorno di entrata in vigore del nuovo codice della crisi d’impresa – e il 10 febbraio di quest’anno, il giorno di pubblicazione della circolare in oggetto, il termine previsto dalla legge pari a 68 giorni entro cui va domandata indennità di disoccupazione Naspi da parte dei lavoratori che si dimettono per crisi aziendale, decorre dalla data di pubblicazione della circolare stessa.

Conclusioni

In passato, anteriormente all’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e alla pubblicazione della nuova circolare Inps, si indicava che – a parte il licenziamento o recesso unilaterale del datore – soltanto le dimissioni per giusta causa dessero diritto alla Naspi. Oggi però lo scenario è mutato perché è stata introdotta una diversa ipotesi di dimissioni “assimilate” a quelle date per giusta causa.

Esse dunque consentono pacificamente l’accesso all’indennità di disoccupazione, a causa di una cessazione del rapporto di lavoro subordinato con un’impresa in stato di crisi. Detta cessazione potrà avvenire per licenziamento, dimissioni o risoluzione di diritto nel corso della procedura di liquidazione dell’azienda.

Per ulteriori dettagli sull’argomento, rinviamo comunque al testo della circolare, disponibile in questa pagina del sito web dell’istituto di previdenza.


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